La nascita di un amaro leggendario nella Magna Grecia

Nei primi anni del Novecento, in un'epoca in cui il fascino del passato sembrava svelarsi sotto le mani esperte degli archeologi, Antonio si dedicava con ardore alla ricerca dei segreti nascosti nel cuore di Krimisa, un'antica città della Magna Grecia che pareva custodire misteri ancora insondati. In quel luogo magico, che Paolo Orsi avrebbe poi reso celebre con la scoperta del tempio di Apollo, il vento sembrava sussurrare storie di dèi e uomini leggendari.

Durante una delle sue esplorazioni, Antonio si imbatté in una tomba che pareva risuonare con l'eco di epoche lontane. La scoperta di quella sepoltura, seppur modesta nell’aspetto, fece palpitare la sua anima di ricercatore. Tra le rovine di un mondo che non c'era più, si trovò di fronte a una serie di monili finemente decorati, testimonianze di un’arte raffinata e misteriosa. Ma ciò che lo colpì maggiormente fu un piccolo oggetto apparentemente insignificante, nascosto tra le ossa di un antico defunto: un'ampolla sigillata con un tappo di legno e pece, come se il tempo avesse cercato di preservarne il segreto.

La curiosità di Antonio lo spinse a studiare l'oggetto con attenzione. Quando finalmente riuscì ad aprirlo, l'aria si riempì di un leggero profumo di muschio e polvere. All'interno scoprì una pergamena ingiallita, i cui bordi si erano piegati e consumati, come quelli di un antico libro sacro. Il suo cuore accelerò: il mistero lo stava chiamando. Non perse tempo e si rivolse a Nicodemo, il suo più fidato amico, esperto di greco antico ma anche rinomato vinificatore, capace di infondere nelle sue creazioni una passione che sembrava provenire dalle radici stesse della terra.

Nicodemo, con la pazienza di un erudito, tradusse il testo antico sulla pergamena. Le parole, ora comprensibili, raccontavano di una ricetta enigmatica, che descriveva una combinazione di erbe aromatiche come il finocchietto, la ruta, l’assenzio e l’alloro. Ma il vero incanto stava nell'ingrediente più raro e prezioso: la genziana, una pianta dalle proprietà digestive, che suscitava un senso di mistero profondo, come se fosse stata scelta per svelare un segreto nascosto nei secoli. Alla fine della lista, un’unica parola tracciata con inchiostro sbiadito fece fremere Nicodemo: Oraculum. In quel momento, comprese che non si trattava solo di una bevanda, ma di un'offerta sacra, un dono destinato agli dèi attraverso la voce dell’oracolo, che vegliava nel tempio di Apollo Aleo, nell’area sacra di Punta Alice. Un segreto antico, racchiuso tra le fibre di quella pergamena, attendeva di essere risvegliato.

Sospinti da un'insaziabile curiosità, Antonio e Nicodemo intrapresero una serie di esperimenti, mescolando con cura le erbe secondo le precise istruzioni della pergamena. Ogni tentativo, che nasceva da un’idea e finiva con un errore, li conduceva a nuove intuizioni. Ogni distillazione era un passo più vicino a qualcosa di sempre più intrigante e potente, come una chiave capace di aprire un mondo dimenticato.

Dopo innumerevoli prove, finalmente l’amaro acquisì una consistenza avvolgente, un sapore complesso che evocava le dolcezze della terra e l'intensità di un’antica tradizione. Ma c'era qualcosa in più: il liquore veniva invecchiato in botti di legno, le uniche di cui disponevano, quelle stesse che custodivano il vino Cirò, ricavato dal pregiato vitigno autoctono di Gaglioppo. Il risultato era un prodotto che sembrava racchiudere in sé l'essenza di secoli di storia, un incontro tra il passato e il presente, tra il sacro e il profano.

La ricetta dell’amaro divenne un segreto di famiglia, considerato un dono divino, un elisir capace di trasportare chi lo assaporava indietro nel tempo, in un mondo di miti e leggende.

E così, tra sabbia e rovine, tra fiumi di vino e di idee, Antonio e Nicodemo scrissero un capitolo della loro vita che dimostrava, in modo tangibile, come il passato non fosse mai davvero lontano e come, a volte, i segreti più preziosi potessero essere nascosti nelle pieghe del tempo, aspettando solo il momento giusto per essere svelati.

Oggi, Bernardino Romano, discendente diretto di quella famiglia che per generazioni ha custodito il segreto di quella ricetta, ha deciso di dare nuova vita all’amaro che, con tanta passione e sacrificio, il suo antenato e Nicodemo avevano creato.

Le erbe vengono selezionate con cura nei campi che ancora oggi riecheggiano del profumo della Magna Grecia, e ogni bottiglia diventa un piccolo scrigno in cui la tradizione si fonde con l’innovazione. Bernardino Romano non si è limitato a produrre l’amaro: ha scelto di restituirgli la fama che, secondo lui, meritava fin dall'inizio, consapevole che ogni goccia di quel liquido racchiude una storia, un mistero e la forza di un'eredità che non va mai dimenticata.

Oggi, il suo amaro non è solo una bevanda da gustare, ma un omaggio a quei due uomini che, più di un secolo fa, osarono svelare un segreto, dimostrando che il passato può sempre illuminare la strada del futuro.